Entro una tripla incorniciatura (la prima molto semplice, decorata solo a motivi vegetali incisi, la seconda tornita e quella più interna sottile e bombata) è racchiuso uno spazio in forma di triangolo rovesciato (probabile allusione alla Trinità). Ciascun lato è sovrastato da un semicerchio nella parte centrale riccamente modanato. L’interno della riserva è occupato dall’episodio della Visitazione, con Elisabetta che abbraccia Maria con il braccio sinistro e le stringe affettuosamente la mano con la destra. Gli spazi laterali che circondano il campo centrale sono occupati dalle immagini di San Giovanni Battista e di tre santi monaci; il libro che stringono fra le mani, simboleggiante il loro alto grado culturale, li indica come appartenenti all’ordine dei Domenicani; in particolare, il religioso ritratto in alto a destra con la palma del martirio, dovrebbe identificarsi con San Pietro Martire, presbiterio e predicatore domenicano, nato nel 1205 e martirizzato nel 1252. Il suo volto è reso con grande cura, nei capelli a caschetto, negli occhi allungati verso l’esterno, nella barba e nei baffi che circondano la bocca; il panneggio delle vesti si dipana in pieghe parallele e tubolari. Le altre tre figure, seppur redatte sulla stessa falsariga, mostrano una realizzazione più convenzionale. Le due Sante Donne al centro della composizione si caratterizzano per una maggior espressività dei volti ed una più ampia gamma di forme nella resa del panneggio, con increspature ad imbuto ed altre appaiate e rigonfie.
Nella seconda metà del XIV secolo il controllo dell’impero ottomano sui porti dell’Africa del nord, punti di raccolta ed invio in Europa di zanne di elefante provenienti dalle zone interne africane, si fece più intenso e, fra l’altro, limitò il flusso dell’avorio verso i paesi europei, rendendolo più raro e costoso, facendo così diminuire sensibilmente la produzione di oggetti eburnei francesi. Ne approfittarono artisti italiani che, usando il più comune ed economico osso, dettero vita alla creazione di cofanetti, cornici per specchi, altari (anche di grandi dimensioni) ed altri prodotti. Fu probabilmente a Firenze che tutto ciò ebbe inizio, con l’attività di ateliers attualmente conosciuti con varie denominazioni (“bottega delle figure inchiodate” attiva probabilmente già verso il 1370, delle “storie di Susanna”, “delle figure a tratteggi”, ecc.); sul finire del ‘300 si afferma nella città toscana la “bottega degli Embriachi”, in grado di gareggiare, con la sua vasta produzione di oggetti di lusso, con quella eburnea francese pur non usando l’avorio e di poter contare su di una clientela internazionale. Non si sa se il capostipite, Baldassarre degli Embriachi, fosse anche scultore, sicuramente fu un imprenditore capace, avveduto e con relazioni importanti anche fuori d’Italia; sappiamo peraltro che dal 1395, quando la celebre bottega era già stata spostata a Venezia, della parte tecnica si occupava Giovanni di Jacopo, fiorentino, maestro nell’intaglio delle lamelle ossee.
La rara ed importante opera in esame, costituita da diverse placchette attualmente fissate su di un’antica tavola lignea, doveva in origine essere la preziosa copertura di un volume conservato nella biblioteca di un convento domenicano. Il manufatto affida le proprie qualità estetiche sia all’intaglio delle figure, sia alla composizione geometrica del disegno, incentrata sull’elaborata composizione a triangolo della riserva centrale. L’origine dell’opera va situata nell’ambito della produzione di oggetti in osso delle botteghe operanti a Firenze (come parrebbe confermare anche l’immagine di San Giovanni Battista patrono della città del Fiore) e va datata fra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘400.