Sulla base a piattello si innesta il fusto cilindrico che mostra una bella decorazione a losanghe contenenti cadauna un fiore stilizzato con quattro petali (evidente allusione alla croce).
Lo stelo sorregge un imponente nodo di forma sferica (diametro cm 16 ca.) schiacciato ai poli, ornato da due serie contrapposte di sbaccellature fortemente stilizzate. Attorno al nodo sono disposte sei placchette romboidali, circondate di gigli tangenti di gusto gotico lavorati a traforo, e contenenti ciascuna una testa di santo realizzata a bassorilievo. Tutte le immagini sono interessate da forte caratterizzazione fisiognomica e fra di esse si riconoscono quelle di San Pietro con le chiavi, San Benedetto da Norcia con la coppa con i serpentelli, un giovane San Giovanni Evangelista con il calice da cui fuoriesce il serpente e San Paolo, dall’ampia fronte corrugata, la calvizie incipiente, lo sguardo severo sotto il forte arco sopraccigliare, gli zigomi alti, le guance scavate, la folta barba e la mano destra stretta attorno all’elsa della spada.
La parte alta del nodo continua con un elemento lievemente trapezoidale contenente l’innesto a V ove andava inserita la croce ed attorno a tale apertura figura il solito motivo ornamentale a gigli tangenti che si ripete a giorno lungo i due bordi del trapezio, ove si appoggiano a due colonnette costolate.
L’opera mostra le caratteristiche estetiche proprie del gotico cortese, che dalla Francia si era irradiato in tutta Europa ed in Italia era penetrato anche grazie all’affermarsi degli Angioini nel Meridione, dopo la vittoria riportata a Benevento nel 1266 sugli ultimi rappresentanti della casata sveva, Corradino e Manfredi, ponendo la loro corte a Napoli. I nuovi signori resero la città partenopea un crocevia di scambi nazionali ed internazionali, grazie al passaggio ed al soggiorno di giuristi, filosofi, poeti ed artisti, fra i quali Giotto, Tino di Camaino, Simone Martini, Ramo di Paganello ed altri. Anche l’arte orafa praticata presso la corte e tenuta in altissima considerazione fu contagiata da tale cosmopolitismo e se dapprima gli Angioini importarono splendidi e sontuosi manufatti d’oreficeria dalle terre d’origine, in seguito chiamarono presso di loro orafi francesi (è il caso dei Maestri Etienne, Godfroy, Milet e Guillaume de Verdeloy, che fra il 1304 ed il 1305 eseguirono lo splendido reliquiario di San Gennaro) e rivolgendosi poi a maestranze centroitaliane, provenienti da Roma, Assisi, Firenze e Siena (da quest’ultima città giunse, fra il 1338 ed il 1339 a Napoli Lando di Pietro, scultore, architetto ed orafo), apportatrici di novità tecniche ed estetiche, innescando una profonda trasformazione nel gusto della committenza meridionale, corte compresa, ed influenzando in modo notevole anche le maestranze locali.
A queste ultime sono state attribuite due opere di altissima qualità, con le quali il nostro manufatto ha taluni motivi ornamentali in comune: il pastorale attualmente conservato presso l’Episcopio di Sorrento, la cui canna in lamina argentea è decorata con motivi a losanga (eseguito probabilmente verso il 1350) e la mitra del Museo Diocesano di Amalfi, che mostra sul bordo dei lati obliqui un coronamento a piccoli gigli.
Riteniamo pertanto di poter ricondurre in tale ambito geografico e culturale anche l’opera qui presentata, con una collocazione temporale attorno alla fine del XIV – inizio XV secolo.